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“Bruciare il tumore per eliminarlo completamente, senza dover ricorrere alla chirurgia. Si può, io l’ho fatto”. Giada, nome di fantasia che useremo per tutelare la sua privacy, è una dei dieci pazienti che da gennaio a oggi sono stati trattati con la termoablazione con radiofrequenza per tumori renali e polmonari. Una tecnica già in uso da tempo all’ospedale di Piacenza, ma che recentemente si è ulteriormente specializzata grazie all’impegno dell’Azienda che ha portato all’acquisizione di una tecnologia all’avanguardia con controllo di impedenza completamente automatizzata al servizio di Radiologia interventistica guidata da Emanuele Michieletti.

“Dopo l’asportazione di un lobo del polmone sinistro e una ablazione al polmone destro, quando ho ricevuto la diagnosi di un nuovo nodulo per di più in un posizione particolare e delicata per l’intervento, il dottor Michieletti mi ha subito consigliato di ricorrere a questa tecnica efficace, ma meno invasiva. Mi fido ciecamente del dottore e del suo staff, che alla professionalità affiancano una dose di umanità e gentilezza difficili da trovare, e ho accettato subito. Ho fatto l’ablazione a febbraio, facendo gli esami per l’accesso il giorno prima. Mi hanno “operata” senza anestesia generale, quindi senza le conseguenze che lascia, ma con una sedazione locale che non mi ha fatto sentire alcun dolore. Sono tornata a casa quasi subito potendo avere quindi al fianco i miei cari e non ho avuto particolari fastidi o strascichi come si hanno con un intervento chirurgico. Un mese dopo mi hanno convocata per la Tac di controllo: il nodulo è stato eliminato completamente come se mi fossi sottoposta a un più invasivo intervento chirurgico”.

“Questa tecnica – sottolinea il direttore di Radiologia interventistica - può eliminare piccole masse tumorali con l’uso del calore. Si tratta di un sistema per ablazione con radiofrequenza che è in uso da diversi anni, ma che ora è diventata ancora più performante grazie a una tecnologia all’avanguardia recentemente acquisita dalla nostra Azienda, altamente efficace in casi selezionati di tumori renali e polmonari. Il dispositivo permette un controllo di impedenza (resistenza al passaggio della corrente) completamente automatizzata; questo significa che il sottile ago, chiamato elettrodo, utilizzato per bruciare il tumore, possiede un sensore sulla punta che consente al generatore di valutare lo stato dei tessuti evitandone la carbonizzazione. L’ago o elettrodo viene inserito attraverso la pelle fino a raggiungere il tumore, l’intervento avviene in anestesia locale con la collaborazione di un anestesista. La durata dell’intervento varia dai 6 ai 12 minuti, ma si interrompe automaticamente se il dispositivo va in roll off, ovvero, se percepisce che il tessuto è già stato correttamente ablato e il tumore è completamente bruciato”.

Una tecnica risolutiva per molti, ma non per tutti. “Questo è un passaggio importante – evidenzia il dottor Michieletti – su cui è necessario essere molto chiari: la scelta sull’eventuale utilizzo di questa metodica avviene attraverso l’attenta valutazione e discussione in un team multidisciplinare composto dall’equipe radiologica, di cui oltre al sottoscritto fanno parte le dottoresse Beatrice Rossi e Margherita Bossalini, da professionisti di Anestesia, Urologia, Pneumologia, Nefrologia e Oncologia e da Francesca Carini, responsabile Dispositivi medici della Direzione farmaceutica. Il team valuta e seleziona pazienti con determinate caratteristiche; alcuni dei criteri di esclusione sono le dimensioni (massimo 4-5 cm), la sede e la collaborazione del paziente. La termoablazione rappresenta ormai da oltre 20 anni una delle possibili terapie per il trattamento del cancro, ma non è sempre utilizzabile e non può sostituire la chirurgia o eliminare le altre terapie così dette “tradizionali” come la chemioterapia e radioterapia.”

“Spesso ci chiedono in che modo il calore distrugge il tumore: tutte le nostre cellule sono sensibili al calore e le cellule cancerose lo sono ancora di più. Per indurre un danno irreversibile alla struttura e al funzionamento cellulare con una temperatura di 60 gradi centigradi si assiste a una rapida distruzione delle proteine che si rileva tossica per la cellula e ne causa la morte per necrosi. In particolare, con la termoablazione, si causano al tumore danni diretti che distruggono l’integrità delle membrane delle cellule e rallentano o bloccano del tutto la replicazione del Dna. I vantaggi di questa tecnica rispetto alla chirurgia tradizionale sono significativi: minori complicanze, maggiore possibilità di preservare meglio i tessuti che circondano il tumore, riduzione dei tempi di ospedalizzazione e la più importante: trattare pazienti che non potrebbero altrimenti essere trattati”.

“Gli ultimi anni – aggiunge Ruggero Massimo Corso, direttore di Anestesia aziendale - hanno visto imporsi un approccio mininvasivo, non solo in chirurgia, ma anche in discipline non chirurgiche come la radiologia con l’obiettivo di ridurre il trauma e il decorso postoperatorio migliorando anche la prognosi. Queste attività chiamate di Nora, acronimo di non operating room anesthesia, assumono un ruolo fondamentale, soprattutto nella gestione di pazienti complessi che fino a poco tempo fa potevano essere gestiti solo in sala operatoria. A Piacenza, Anestesia aziendale, garantisce supporto perioperatorio in quest’ambito a diverse discipline avvalendosi di tecniche moderne che consentono il rapido recupero e la dimissione del paziente, mettendo al centro il benessere della persona”.

Ultimo aggiornamento

15-04-2024 09:04

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