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Dal 2017 al 2021 gli operatori sanitari che a Piacenza hanno subito violenza verbale sono stati 64, numero che sale a 79 se parliamo di aggressione fisica. Circa il 38% degli operatori è stato vittima di un’aggressione con un incidenza di rischio 5 volte superiore rispetto ad altri comparti lavorativi. Dalla riflessione su questi dati allarmanti, soprattutto perché in costante crescita, ha preso le mosse il secondo convegno nazionale Fiaso “La sicurezza degli operatori della sanità. Educare alla prevenzione e alla gestione del conflitto e della violenza“, tenutosi nella cornice della Cappella Ducale di Palazzo Farnese. Un appuntamento organizzato da Fiaso e Ausl di Piacenza, in collaborazione con il Comune di Piacenza, per sensibilizzare la cittadinanza, gli operatori sanitari e le istituzioni locali, regionali e nazionali sull’entità del fenomeno e sulle misure da attuare per la difesa degli operatori.

Un tema di grande attualità, come sottolineato dal prefetto di Piacenza Daniela Lupo in apertura di convegno “che va trattato con una molteplicità di soggetti per azioni concrete e produttive”. Proprio sulla molteplicità dei attori coinvolti e sull’interscambio di input tra essi è intervenuto il questore Ivo Morelli per cui “il personale sanitario ha un importante ruolo di conoscenza diretta del tessuto sociale e con la loro esperienza possono supportare le forze dell’ordine nel monitoraggio del fenomeno”.

Collaborazione è la parola d’ordine che ha voluto mettere sul tavolo il sindaco Katia Tarasconi: “collaborazione con il prefetto, con cui ogni settimana facciamo il punto. Collaborazione con le forze dell’ordine. Collaborazione con il mondo dei professionisti sanitari, con la speranza di ritrovarci qui, il prossimo anno, con dati al ribasso in tema di aggressioni e violenze”.

Introdotta da Eva Colombo, vicepresidente Fiaso e direttore generale Asl Vercelli che, partendo dalla legge 113/2020 ha illustrato l’impegno della Federazione sul tema, Paola Bardasi, direttore generale Ausl di Piacenza e coordinatore regionale Fiaso Emilia Romagna, ha avviato la mattinata di confronto.

“I dati mostrano un incremento in questi ultimi 5 anni delle aggressioni verbali e fisiche nei confronti degli operatori sanitari - ha sottolineato la dottoressa – I servizi maggiormente sono coinvolti sono il Pronto soccorso e l’area psichiatrica, ma anche i Cup, i poliambulatori, la continuità assistenziale. Piacenza nell’ultimo triennio ha registrato una media di 4 aggressioni fisiche e 4 verbali su mille operatori, un dato in linea con la media regionale. Per comprendere la natura di questa crescita di conflittualità è necessario partire da una riflessione sul nostro sistema sanitario che non è al passo con l’evoluzione della società, per colmare questo gap è necessario lavorare su più livelli: avviare una riorganizzazione del lavoro più programmatica puntando sempre più su formule digitali di telemedicina; comunicando il valore della sanità locali alla cittadinanza; investendo su una contrattualistica che valorizzi il professionista creando un ambiente di lavoro attrattivo e fidelizzante con investimenti sulla formazione, la sicurezza, la meritocrazia perché un personale soddisfatto offre un servizio migliore”.

Non lasciare soli i professionisti nella prevenzione dei fenomeni di violenza è per il direttore sanitario dell’Ausl, Andrea Magnacavallo un imperativo che coinvolge diversi livelli di responsabilità dalle istituzioni nazionali, regionali e aziendali.

“Le aziende sanitarie sono un unicum per complessità e finalità: produciamo salute e questo allo stesso tempo ci rende di cruciale importanza e altrettanto fragili perché la relazione e la comunicazione possono essere disfunzionanti, quindi foriere di conflitti. La sfida che stiamo affrontando è quella di investire su sicurezza e prevenzione lavorando su strategia, gestione e operatività tenendo conto dell’organizzazione del personale e delle strutture di fruizione del servizio. Per farlo dobbiamo partire dal comprendere che la mappatura del rischio è in continua evoluzione: un singolo cambiamento, come per esempio l’introduzione di un nuovo sistema di prenotazione degli esami di laboratorio, può creare un rischio di innalzamento della tensione. L’aggressione nei confronti del personale sanitario pone un problema di salute che non possiamo più tollerare per le gravi conseguenze sanitarie e sociali che pesano su azienda e cittadinanza”.

“Dalla delusione alla rabbia il passo è breve, dovuto al non poter accettare la sconfitta che a volte la malattia impone – ha confermato Franco Pugliese, già direttore del dipartimento della Sicurezza Ausl di Piacenza e past president Airespsa affiancato nel suo intervento - Spesso le aggressioni partono non tanto dai pazienti, quanto dai loro familiari stressati dalla situazione e spaventati. A volte a innescare questi conflitti è il non riuscire a guarire il paziente. A Piacenza la situazione non è gravissima, parliamo di una trentina di casi, a fronte di un contesto nazionale e internazionale che vede aumentare invece il fenomeno”.

Dopo la violenza resta, in chi l’ha subita un senso di paura e spaesamento. La riabilitazione e il supporto al personale spetta al Servizio di Prevenzione e protezione aziendale a Piacenza diretto da Giampietro Scaglione affiancato, per la presentazione del lavoro, dalla dottoressa Jessika Camatti.

“La violenza in sanità ha effetti sulla percezione di sicurezza sia del soggetto coinvolto sia sulla equipe. La conseguenza è un clima di sfiducia e una flessione nella qualità delle cure prestate. In questi due anni di lavoro ci siamo concentrare sul recupero del personale e sulle strategie per scongiurare o limitare il rischio con check e interventi sugli ambienti con misure strutturali, organizzative e di formazione sia sul pronto soccorso, sia nelle sedi di continuità assistenziale. Un cambiamento del modello di approccio al fenomeno deve passare, non solo dalle misure di prevenzione, ma anche da un modello proattivo di lavoro che coinvolga personale, istituzioni e cittadinanza”.

Pietro Giurdanella, consigliere della Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche ha delineato nel dettaglio i dati emersi da uno studio multicentrico che ha coinvolto nove università italiane da cui è emerso come negli ultimi 12 mesi 130mila infermieri su 460mila abbiamo subito un’aggressione. “Nel 74% dei casi si tratta di episodi avvenuti in ospedale e nell’11,5% nei centri di salute mentale. Il che ha portato a un’assenza dal lavoro del personale coinvolto da 3 a 7 giorni con inevitabile conseguenze sull’azienda esul servizio fornito. Per limitare questo fenomeno è necessario intervenire prontamente con una normativa precisa sull’utilizzo dei social: il 12% del personale è colpito da episodi di cyberbullismo con foto pubblicate a loro insaputa, commenti e furti di identità, pene più severe per i colpevoli, ma anche uno snellimento delle procedure e delle attese stressanti per i pazienti”.

Alla mattinata di confronto hanno partecipato inoltre Elisa Brevini, Susanna Cantoni, Anna Maria Minicucci, Mara Bernardini, Daniele Tovoli, Filippo Zizzadoro, Piero Borgia, Fabrizio Ciprani, Fabio Germani, Aldo Tua, Ottavio Nicastro, Giuseppe Ferrari e Andrea Cirincione.

Ultimo aggiornamento

11-03-2023 14:03

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