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Dignità, aiuto, autodeterminazione, scelte consapevoli, suicidio medicalmente assistito (SMA).

Nelle ultime settimane abbiamo letto queste parole su molti quotidiani e sui social; suicidio medicalmente assistito: chi è pro e chi è contro, chi non lo sa, chi vorrebbe una legge ad hoc per tutelare la libertà individuale, chi invece ritiene che questo porterebbe a una desistenza terapeutica, a un abbandono, chi non si esprime ma che forse se toccasse proprio a lui lo vorrebbe….

Come medico palliativista ho imparato sulla mia pelle quanto sia difficile avere a che fare con il limite della cura e con quello della vita dei miei pazienti.

Ogni storia è una storia diversa, ogni persona malata vive una malattia diversa ed unica perché la biografia, e non solo la biologia, condiziona sia il modo di vivere che il modo di vivere il fine vita.

Nella cura della malattia dobbiamo portare le nostre competenze tecnico-scientifiche ma anche quelle etiche e relazionali, dobbiamo metterci in gioco e accettare il limite della medicina, viverlo con la consapevolezza che non saremo in grado di superarlo, viverlo come aspetto peculiare ed elemento di forza.

Stare in quel limite con il paziente e con la sua famiglia vuol dire accettare ed accogliere la rabbia, il senso di fallimento, la sconfitta, la paura; significa affrontare domande sul senso (significato) della sofferenza, sull’ingiustizia della malattia. …Bisogna essere colui che resta! , come scrive Camus ne La peste (1947).

Essere in grado di “restare” significa non offrire solo risposte tecniche (esami, terapie, ect) al paziente ma dialogare sulla possibilità di fare altro, rassicurandolo che non rimarrà solo, che non soffrirà dolore, che, nel fine vita, potrà ricorrere alla sedazione palliativa se necessaria con la finalità di controllare sintomi diventati refrattari (incontrollabili) riducendo lo stato di coscienza e non la durata della vita.

Sono d’accordo con chi sostiene che scomodare la Legge per gestire la delicata fase del fine vita e di tutte le altrettanto delicate scelte e decisioni può essere visto come una sorta di fallimento della medicina; non si può però negare che la questione esiste e che purtroppo alcune persone malate cerchino in solitudine e in autonomia la soluzione alla loro sofferenza lontano da casa e attraverso lunghi e perigliosi percorsi.

Ciò che può fare la differenza si colloca necessariamente in un tempo altro rispetto al fine vita: il tempo dell’assistenza e del percorso di cura.

Si tratta di un segmento della relazione medico-paziente che si deve arricchire di momenti di condivisione e di pianificazione autentici, trasparenti, costruttivi.

Mi sto riferendo in particolare al contenuto della Legge 219 del 2017 (“Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”) che pone, tra le altre cose, l’accento sulla Pianificazione condivisa delle cure (PCC) come strumento di cura che permette al paziente, insieme allo specialista di riferimento o al suo medico di medicina generale, di autodeterminarsi cioè di scegliere in merito a trattamenti ed interventi clinico-sanitari.

Il fatto che esista questa legge è garanzia che ciò avvenga regolarmente?

No, dal nostro osservatorio rileviamo frequentemente casi in cui il paziente che lo richiede non riceve adeguate informazioni in merito al suo stato di salute, al percorso di cura, alla possibilità di scegliere insieme all’equipe curante come affrontare il tempo della cura in modo affine ai propri desideri e valori di riferimento, nel rispetto della dignità individuale.

Le domande che dovremmo porci sono tante: quante relazioni significative abbiamo creato con i nostri pazienti? Quante volte siamo riusciti ad ascoltarli in silenzio? Quanto spesso ci siamo sostituiti a loro condizionando il giudizio sulla qualità della vita e le scelte di cura? Quante volte abbiamo evitato di dire la verità anche quando ci veniva richiesta? Siamo tutti in grado di affrontare le domande che il paziente può porci sul fine vita?

Se come professionisti sanitari avessimo tutti la possibilità di affinare le competenze comunicative e relazionali arriveremmo alle fasi finali della vita dei nostri pazienti avendo condiviso e pianificato i passaggi cruciali imposti dalla malattia.

Tutto questo potrebbe, però, non essere sufficiente per creare una situazione tale da rendere accettabile e gestibile la sofferenza da parte del paziente che potrebbe comunque, rispetto ai suoi valori e al suo personale concetto di qualità e dignità di vita, ritenere la richiesta di SMA l’unica strada percorribile nonostante tutto.

L’errore più grande a questo punto sarebbe lasciare inascoltata questa richiesta, abbandonando il malato nella sua solitudine e disperazione.

La complessità e il privilegio del nostro lavoro risiede anche in questo.

Come unità operativa di Cure palliative abbiamo concordato con la Direzione generale un programma di informazione e formazione sui temi dell’etica nel fine vita e di attivare un sportello di consulenza sulle Disposizioni anticipate di trattamento (DAT) gratuito e aperto a tutti i cittadini; presso lo stesso sportello sarà possibile per gli operatori sanitari richiedere una consulenza e una discussione di casi clinici specifici in merito ai quali si è resa necessaria una Pianificazione condivisa delle cure (PCC).

Valentina Vignola, psicologa psicoterapeuta dell’Unità operativa Cure palliative, è stata di recente nominata membro del Comitato regionale per l’Etica nella Clinica (COREC) che avrà funzioni di formulare pareri in relazione a quesiti e scelte di natura etica riconducibili sia alle attività assistenziali che a quelle organizzative; fornire pareri su casi eticamente complessi, caratterizzati talvolta dalla presenza di un conflitto di valori, promuovere iniziative di formazione per il personale sanitario e di sensibilizzazione rivolte ai cittadini sui temi della bioetica.

Concludo con una riflessione: non sono in grado di dire se un percorso strutturato di cure palliative e una presa in carico del paziente in tutte le sue dimensioni possa essere una alternativa al suicidio medicalmente assistito ma posso affermare che fino a oggi non abbiamo mai ricevuto una richiesta di porre fine alla vita ma tante richieste di poter vivere la vita fino alla fine senza sofferenza.

Raffaella Bertè

Direttore Cure palliative Azienda Usl di Piacenza

Ultimo aggiornamento

17-02-2024 10:02

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